Cass. Terza sezione civile, Sentenza n. 26118 del 27 settembre 2021
Responsabilità del medico e civile in generale – Eccezione di intervenuta transazione e rilevabilità anche in appello – irrilevanza dell’avvenuta transazione tra medico e danneggiato rispetto all’azione proposta nei confronti della struttura ospedaliera – il cd. “rischio latente” e criteri di liquidazione di detto danno
Cass. Terza sezione civile, Sentenza n. 26118 del 27 settembre 2021: – “L’eccezione di intervenuta transazione non forma oggetto di un’eccezione in senso stretto sottratta al rilievo officioso, come quelle per le quali la legge richiede espressamente che sia soltanto la parte a rilevare i fatti impeditivi, estintivi o modificativi, e pertanto essa può essere rilevata dal giudice d’ufficio, anche in appello, non essendo il relativo rilievo subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte, purché i fatti risultino documentati “ex actis” ; – “In tema di responsabilità per danni da attività medico-chirurgica, anche quando la domanda risarcitoria si fonda sull’erroneo operato del medico e non sui profili strutturali e organizzativi della struttura sanitaria, la transazione tra medico e danneggiato non impedisce l’esercizio dell’azione per l’accertamento della responsabilità della struttura ospedaliera – che non ha natura di responsabilità per fatto altrui, bensì per fatto proprio e, pertanto, non viene meno in conseguenza della liberazione del medico dalla propria obbligazione risarcitoria -, ma comporta unicamente che, nel compiere detto accertamento, il giudice debba indagare “incidenter tantum” sulla esistenza di una eventuale condotta colposa del sanitario.”; – “In tema di liquidazione del danno alla persona, il cd. “rischio latente” – cioè, la possibilità che i postumi, per la loro gravità, provochino un nuovo e diverso pregiudizio consistente in una ulteriore invalidità o nella morte “ante tempus” – costituisce una lesione della salute del danneggiato, da considerare nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente secondo le indicazioni della medicina legale: ne consegue che, qualora il grado di invalidità sia determinato tenendo in conto detto rischio, il danno biologico va liquidato in relazione alla concreta minore speranza di vita del danneggiato e non della durata media della vita; se, invece, il “rischio latente” non è stato incluso nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente (o perché non contemplato dal barème utilizzato o per omissione del consulente), il giudice deve tenerlo in considerazione maggiorando la liquidazione in via equitativa, anche scegliendo il valore monetario del punto di invalidità previsto per una persona della medesima età della vittima e, dunque, in base alla durata media nazionale della vita, anziché alla speranza di vita del caso concreto”.
Come si vede, sono riportate tre massime.Infatti, la sentenza (1) affronta vari temi. In particolare:
– ponendosi sul solco dell’indirizzo prevalente (vedi ad esempio Cass. 18195/12 e Cass. e 421/06), messo in crisi da Cass. 17896/12, ribadisce che l’eccezione di intervenuta transazione è rilevabile anche d’ufficio e quindi è opponibile dalla parte per la prima volta in appello;
– supera il precedente di segno contrario di Cass. 15860/15 ed afferma che la transazione intervenuta tra medico e paziente non preclude in alcun modo l’azione risarcitoria contro la struttura ospedaliera anche se fondata sulla responsabilità del medico, perché ciò sarebbe in contrasto con la stessa logica del sistema della solidarietà e non tiene conto del fatto che anche in tal caso la struttura risponde per fatto proprio e non altrui;
– si occupa della voce di danno alla persona costituita dalcd. “rischio latente”, ossia la possibilità, oggettiva e non ipotetica, che l’infermità residuata all’infortunio possa improvvisamente degenerare in un nuovo e diverso danno, consistente in un’ulteriore invalidità o addirittura nella morte; una volta definito tale danno, distinto dal mero peggioramento dipendente dalla naturale evoluzione fisiologica dei postumi, la Suprema Corte indica i criteri per la relativa liquidazione e, componendo di fatto un contrasto esistente nella giurisprudenza di legittimità (da una parte vedi Cass. 5881/00 e Cass. 28168/19, dall’altra Cass. 16525/03 e 11393/19), afferma che esso va liquidato in relazione alla concreta minore speranza di vita del danneggiato e non della durata media della vita, appunto perché si tratta di un danno commisurato alla concreta minore speranza di vita. Pertanto, è del tutto legittimo che il grado di invalidità permanente sia determinato tenendo conto anche di detto “rischio latente”, così calcolato. Il problema, tuttavia, si verifica se il “rischio latente” non sia stato considerato ai fini della determinazione del grado percentuale di invalidità permanente, e in tal caso la Terza sezione civile afferma che “il giudice deve tenerlo in considerazione maggiorando la liquidazione in via equitativa, anche scegliendo il valore monetario del punto di invalidità previsto per una persona della medesima età della vittima e, dunque, in base alla durata media nazionale della vita, anziché alla speranza di vita del caso concreto”. Questa conclusione, a primo acchito, sembra in contraddizione con la premessa di cui sopra, di un danno commisurato alla concreta speranza di vita. Tuttavia, è una contraddizione apparente, il quanto la Corte suggerisce l’uso del valore monetario del punto di invalidità quale criterio equitativo ex art. 1226 c.c., criterio come noto incensurabile in sede di legittimità a condizione che il giudice di merito dia conto dei criteri seguiti (si rinvia sul punto al par. 6.8 della motivazione di Cass. 26118/21).
La Procura generale della Corte di cassazione aveva concluso oralmente in senso parzialmente conforme
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