Focus di approfondimento sul giudizio di divisione e le spese del processo
La divisione c.d. endoesecutiva (introdotta ai sensi degli artt. 600 e seguenti c.p.c.), integra un vero e proprio giudizio ordinario di cognizione, funzionalmente collegato alla espropriazione e, purtuttavia, strutturalmente autonomo rispetto ad essa. Ne consegue che detta divisione non è una fase del processo di esecuzione forzata su cui si innesta (Cass. 18 aprile 2012, n. 6072; Cass. 20 agosto 2018, n. 20817; Cass. 12 settembre 2024, n. 24550); essa deve, pertanto, svolgersi nell’ambito di un processo separato iscritto al ruolo degli affari contenziosi civili (è controverso se alla iscrizione della causa a ruolo debba provvedersi di ufficio o a cura del creditore interessato).
Da molto tempo si discute sulla individuazione dei criteri di ripartizione delle spese della divisione endoesecutiva. Il riferimento è alla regolazione delle spese da compiersi all’esito della divisione e, dunque, prima che il processo esecutivo venga riassunto.
La giurisprudenza di legittimità ha, da tempo, affermato che:
- anche la regolamentazione delle spese della divisione endoesecutiva spetta esclusivamente al giudice del giudizio divisorio;
- a tale regolamentazione deve procedersi quale che sia il provvedimento conclusivo del processo e, dunque, pure se esso è costituito dalla ordinanza prevista dall’art. 789, comma 3, c.p.c. di approvazione del progetto divisionale delle somme ricavate dalla vendita;
- il progetto divisione delle somme ricavate dalla vendita va predisposto prevedendo che le spese della lite debbano essere poste a carico della massa, in quanto ciascun condividente sopporta le spese affrontate nel proprio interesse e partecipa pro quota (in misura corrispondente alla propria quota di titolarità del diritto oggetto di divisione) alle spese comuni, ovvero quelle sostenute per gli atti di causa che servono a condurre il giudizio alla sua fisiologica conclusione.
Una volta disposto lo scioglimento della comunione, se il bene pignorato è stato venduto per l’intero, il giudice dell’esecuzione, in qualità di istruttore della causa, deve, dunque, redigere un progetto conclusivo con cui, dopo aver detratto dall’importo complessivo ricavato dalla vendita tutte le spese che sono state necessarie a portare a termine la liquidazione del bene, deve disporre che il residuo vada attribuito ai condividenti, nella misura corrispondente alla quota loro spettante (15 maggio 2002, n. 7059; Cass. 13 febbraio 2006, n. 3083; Cass. 19 ottobre 2009, n. 22122; Cass. 13 maggio 2015, n. 9813; Cass. 08 ottobre 2013, n. 22903; Cass. 12 settembre 2024, n. 25550.). Attraverso tale procedimento verrà, perciò, individuato l’importo di pertinenza del debitore, importo in relazione al quale, riassunta l’espropriazione immobiliare, deve redigersi il piano di riparto del processo esecutivo.
Non è, però, chiaro se la spese del processo di divisione sostenute dai creditori istanti debbano restare a carico di tutti i condividenti oppure no; ed ancora, non è chiaro se i creditori, per recuperare tali spese nel processo esecutivo, debbano munirsi di un titolo esecutivo.
Tale questione è stata di recente affrontata dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 12 settembre 2024, n. 25550).
Sul primo punto, è pacifico che debba essere data risposta negativa (le spese sostenute dai creditori debbono gravare solo sul debitore).
Sul secondo punto, la Suprema Corte ha affermato che, nella divisione c.d. endoesecutiva, la partecipazione al giudizio dei soggetti che nell’esecuzione rivestono il ruolo di creditori (procedenti o intervenuti muniti di titolo esecutivo) non è sorretta da un interesse identico o accomunabile a quello che anima i condividenti: per il ceto creditorio, nella sua indistinta globalità, invero, lo scioglimento della comunione sul bene staggito rappresenta un’attività necessaria alla (prosecuzione della) espropriazione forzata intrapresa, ovvero, in ultima analisi, un’attività necessariamente strumentale alla soddisfazione forzosa del credito azionato. Muovendo da tale premessa, ha, perciò, ritenuto che, all’esito della divisione, il giudice deve disporre la condanna del solo condividente – debitore esecutato alla refusione delle spese sopportate in detta lite dal creditore (procedente o intervenuto titolato), da liquidarsi secondo lo scaglione tariffario corrispondente al valore della massa (con cui si identifica il valore della controversia: art. 5 del d.m. 10 marzo 2014, n. 55): la relativa statuizione costituisce titolo per la collocazione nella distribuzione dell’attivo dell’espropriazione con il privilegio ex art. 2770 c.c. e con la preferenza garantita dall’art. 2777 c.c..
A questo punto, resta, però, un dubbio: se il creditore non ha ottenuto la liquidazione delle spese ed il giudice della divisione non ha condannato il debitore a pagare le spese che egli ha sostenuto nel giudizio di divisione cosa può fare?.
La questione non è affrontata dalla Suprema Corte.
Due le situazioni prospettabili:
in difetto una statuizione di condanna del giudice della divisione, il creditore non recupera le spese sostenute nel giudizio ex art. 181 disp. att. c.p.c.;
il credito relativo alle spese sostenute dal creditore nel corso del giudizio di divisione può essere, comunque, collocato, ai sensi dell’art. 2770 c.c., nel piano di riparto del processo di espropriazione, anche se non liquidato nel processo in cui è sorto (ovvero nel giudizio di divisione), semprechè esso venga quantificato nella nota di precisazione (del credito).
Si allega Ordinanza Cass. n. 2256 del 2024.
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